Home » La Conservazione del Pesce del Garda

La Conservazione del Pesce del Garda

Quando la distribuzione non era in grado di coprire i mercati….

L’alimentazione delle popolazioni del Garda per secoli non è stata assicurata dai carpioni o dalle trote lacustri, pesci riservati alla nobiltà, ai ricchi prelati e successivamente alla borghesia, ma dalle umili alborelle (aole) o dalle alose (sardene). Entrambe venivano pescate soprattutto in primavera quando, spinte dall’impulso amoroso, si avventuravano sui bassi fondali per riprodursi. I pescatori nei secoli hanno inventarono micidiali trappole per catturare gli enormi branchi di aole e sardene. Quella che consentiva di prelevare maggiori quantità di pesce era il remat, una rete a catino con la quale si circondavano le sardene per poterle prelevare con un guadino e riversare nelle barche. La versione più piccola di questa rete, denominata remattino, serviva per la cattura delle aole. Floreste Malfer, il famoso ittiologo gardesano, racconta in una sua opera intitolata Benaco l’importanza delle sardene nella vita quotidiana della popolazione gardesana. ‘Siamo in inverno: “… la popolazione langue tappata nei suoi tuguri… ma il richiamo di una voce…(grida che)… le alose son comparse. E’ lo squillo della risurrezione… Le barche escono dal porto cozzandosi… mentre i pescatori curvi sui remi le lanciano a corsa sfrenata… Si lavora con febbre, con grida di giubilo… le ceste vengono riempite e vuotate nei barchetti… Le tre, quattro barche arrivano in breve a venti, a trenta… “Infine terminata la pesca” … il profumo caratteristico dell’alosa cucinata ai ferri sollecita i lontani al ritorno. Si diffonde ovunque un senso di benessere e pace che tutto rende mite.”

Le catture di aole e sardene da novembre ad aprile erano minime, quindi era necessario conservare il pesce per averlo a disposizione nei mesi invernali. Il metodo più diffuso era la salagione. All’inizio del secolo scorso se ne salavano ogni anno quasi 1000 quintali. Sempre il Malfer ci ricorda il metodo che veniva usato: “La confezione delle aole salè è molto semplice… Si stendono le alborelle sui graticci (arele) al sole, per 3-4 ore finchè non sono vizze (enfiapie). Poi si mettono in barili e si pigiano commiste e alternate con strati di sale nella misura di 2 Kg. di sale per ogni peso (Kg. 8 1/3) di pesce fresco. Dopo un mese si da principio alla vendita”.

In alternativa alla salagione vi era l’essicazione (aole seche). Le alborelle anziché stare al sole per alcune ore rimanevano sui graticci per 3-4 giorni. Alla fine si ponevano in reticelle appese in luoghi freschi e ventilati, dove potevano conservarsi anche per un anno.

Le aole salè si utilizzavano sfatte nell’olio di oliva bollente per condire i bigoi o il luccio in salsa. Quelle seche per cucinare il sisam, un antico metodo di cottura che consentiva la conservazione della pietanza per alcuni giorni, quindi particolarmente adatto per pescatori e malgari che stavano frequentemente fuori casa. Da un decennio le aole sono scomparse, sembra in seguito ad una malattia che impedirebbe la respirazione. Molti si sono posti il problema di come sostituirle nella preparazione dei piatti tradizionali. Alcuni hanno optato per la sostituzione delle alborelle con le alose che vengono conservate secondo i metodi che tradizionalmente erano riservati alle aole. Vi diamo di seguito le indicazioni per preparare a casa il pesce conservato.

Alose salate (sardene salè):
prendete le sardene, pulitele, privatele della testa, della coda e tagliate quella parte del ventre che avvolge l’intestino ed è composta quasi esclusivamente di pelle e spine. Ponetele al sole e lasciatele ad avvizzire per 4 ore. Mescolate un chilogrammo di pesce pulito con due etti e mezzo di sale e mettetelo in un vaso. Mettete un sasso pulito sopra il pesce salato in modo che quando si formerà la salamoia le sardene rimangano immerse nel liquido. Dopo 45 giorni sono pronte per essere consumate.

Alose sott’olio:
Le alose si possono conservare anche sott’olio. Dopo averle conservate sotto sale per 45 giorni si aprono con le mani e si dividono in due filetti togliendo la lisca centrale e la pelle. I filetti si mettono in un vaso di vetro che verrà ricoperto di ottimo olio extravergine di oliva POG. Potranno essere utilizzati per condire la pasta, il luccio in salsa e in tutti i modi che prevedevano l’uso delle aole salè.

Alose secche:
Da ogni sardena, privata della testa e delle interiora, ricavate con le mani due filetti. Metteteli al sole su un graticcio per 4 giorni preferendo i luoghi dove vi è un po’ di brezza. Trascorso il tempo indicato assicuratevi che i filetti siano ben essiccati, poneteli quindi in reticelle (vanno benissimo quelle che vengono utilizzate per patate o cipolle nei supermercati) e lasciate in un luogo fresco e possibilmente areato. Le alose secche vanno cucinate secondo la vecchia ricetta tradizionale del sisam.

Alose secche in sisam:
Tagliare grossolanamente un chilogrammo di cipolle bianche e metterle in una casseruola a stufare con un cucchiaio di zucchero, mezzo bicchiere di aceto, un bicchiere di olio POG extravergine di oliva, due etti di filetti di sardena secca tagliuzzati e sale. Far cuocere per tre ore a fuoco bassissimo. Spegnere quando i pezzetti di pesce secco saranno cotti. Si serve con polenta fresca o abbrustolita.

Testi per gentile concessione di Gianluigi Miele


Video – Ultimi pescatori del Garda